You are currently viewing PORDENONE PENSA, A COSA?

PORDENONE PENSA, A COSA?

  • Articolo pubblicato:18 Novembre 2016
di Samuele Stefanoni
La rassegna PordenonePensa, in cartellone fino a Domenica prossima, rappresenta inequivocabilmente un modo di “fare cultura” che non appartiene al Movimento 5 Stelle, sia nel metodo, che nel merito.
Evidente è il conflitto di interesse di Elena Ceolin, presidente dell’associazione culturale Eureka, organizzatrice del festival e contemporaneamente assunta nella Segreteria del sindaco Ciriani. Un conflitto di interessi amplificato proprio dalla marcata vocazione politica di una rassegna che dovrebbe a maggior ragione rimanere  super partes e completamente scissa dall’impronta politica dell’Amministrazione cittadina.
Ancora più importante, PordenonePensa, sostenuta da sponsor privati ma anche dalla Provincia e dalla compartecipazione del Comune, diventa anche uno spunto di riflessione su quale debba essere oggi il ruolo di un Assessorato alla Cultura: è davvero cultura portare in piazza un dibattito politico in pieno stile “talk show” del quale già abbondano i canali televisivi? Il Movimento 5 Stelle crede che i soldi dei contribuenti possano essere utilizzati meglio, e in modo più lungimirante. La spettacolarizzazione della cultura è un mestiere che può essere serenamente affidato agli imprenditori del mondo dello spettacolo e che assolve a una domanda di mercato già esistente.
I pochi soldi pubblici del quale dispone l’Assessorato alla cultura crediamo debbano essere investiti sul territorio, valorizzando ciò che Pordenone veramente produce in tutti gli ambiti artistici e, più in generale, culturali. Il valore di un azione pubblica si misura nel momento in cui crea un legame forte tra chi produce cultura e chi ne “usufruisce”: solo così il territorio arricchirà il proprio capitale culturale restituirà veramente consapevolezza della propria identità culturale e sociale.
Un’azione, quella del Comune, non semplicemente di “promoter” di artisti locali, azione che genera spesso rapporti lobbistici e che di fatto altera la percezione del prodotto culturale usufruito dalla popolazione, ma, più umilmente, da facilitatore che consenta a chi ha qualcosa da dire di avere la sua occasione